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Il trasporto pubblico, come tutti gli altri settori, è stato sensibilmente influenzato dalla pandemia da Covid-19. Laddove però in un treno, in un bus (urbano o extraurbano che sia) il distanziamento fisico è generalmente più semplice da rispettare, all’interno di un abitacolo dallo spazio limitato come quello di un taxi la questione si complica leggermente. 

Due tassisti udinesi, Massimo e Michele, ci hanno dedicato un po’ del loro tempo per approfondire le complicazioni che la pandemia ha portato nel mondo del trasporto pubblico porta a porta.  Uno dei parcheggi principali dei taxi si trova proprio di fronte alla stazione ferroviaria del quartiere udinese protagonista di queste storie; la voce dei tassisti è un altro frammento fondamentale nella ricostruzione della situazione pandemica all’interno del Borgo Stazione di Udine…

Pensiamo che la vostra realtà meriti voce in capitolo all’interno del progetto, anche perché immaginiamo che l’attività dei taxi sia qui da parecchio tempo…

MA: Esatto, il consorzio è nato una quarantina di anni fa, ma i taxi sono qua a udine già dagli anni Sessanta. Io invece lavoro come tassista da nove anni circa.

MI: Io ho avviato la mia attività circa un paio di anni fa invece. 

Quindi siete entrambi qui da prima della pandemia… e come vi sembra sia cambiato l’ambiente del quartiere della stazione post-Covid? 

MA: La prima cosa che si notava era il senso di vuoto, l’assenza delle persone, i treni che arrivavano erano deserti. Certe notti, almeno durante il primo lockdown, ti fermavi a guardare qualsiasi punto della strada e per decine e decine di minuti non passava anima viva. Il primo lockdown è stato veramente impressionante, surreale. Sarà qualcosa che racconteremo tra vent’anni ai nostri figli, di come avevamo visto Udine in quel periodo, completamente vuota. 

Tenete anche conto del fatto che noi abbiamo sei stazioni sparse per tutta Udine, quindi abbiamo visto questi effetti (lo spopolamento delle strade in primis) in tutta la città.  Negli ultimi dieci anni in Borgo Stazione invece, parlando più generalmente e non solo della pandemia, si intravede una specie di ciclo. A rotazione cambiano i volti, cambiano le attività, cambiano le etnie, ma come ho già detto è un circolo. Ciclicamente si torna alla situazione di partenza, ma penso sia biologico. Penso capiti in tutte le zone multietniche del mondo, che si evolvono man mano. 

È strano pensare che un quartiere così vivo e particolare fosse così silenzioso, non trovate? 

MA: C’è da dire che la stazione attrae chiunque. La zona di per sé è sicuramente particolare, sicuramente più movimentata, ma non la definirei pericolosa. 

MI: Esatto, se non vai a disturbare qualcuno è difficile che vengano a disturbare te. Si tratta pur sempre di una zona strana, più movimentata, ma la gente si fa anche gli affari propri. Ci sono i problemi, sia chiaro. C’è stato più di un episodio tra varie risse e trambusti, principalmente tra le altre etnie che sembrano essere tra loro ostili. 

MA: Già, è inutile che ci giriamo intorno: lo spaccio e le problematiche ci sono. Non so se ci vivrei. Questa era una specie di salotto un tempo, era un borgo vero e proprio. Ora l’immaginario generale non è un granché, nonostante i palazzi e gli appartamenti in questa zona siano stupendi. 

Che tratte fate di solito?

MA: Principalmente tratte cittadine. Raramente andiamo fuori. Udine è una realtà provinciale, non ancora abbastanza turistica. Lavoriamo con il cittadino udinese, con l’anziano che non può prendere il bus e deve andare all’ospedale, con chi deve passare a Udine per pochi giorni, con chi ci lavora, è una realtà abbastanza locale. 

Andiamo un po’ più nello specifico con la situazione Covid. Forse è una domanda scontata, ma avete preso precauzioni eccezionali (oltre alle solite) per la sicurezza all’interno del taxi? 

MA: Ci è stato dato un programma da seguire, un comportamento da rispettare. Nessuno ha chiaramente l’interesse nel ammalarsi, quindi sempre usare le mascherine, qualcuno usa i guanti, mai più di due persone sedute sempre dietro e mai davanti. A fine corsa c’è un igienizzazione generale, un cambio d’aria.

Quindi non è cambiato troppo nella corsa di per sé? 

MA: Esatto. Però c’è stato sicuramente un cambiamento nel rapporto con il cliente.  Tra chi se ne frega altamente delle restrizioni che devi richiamare più di una volta, chi non ci pensa proprio e chi invece è anche fin troppo timoroso di ciò che sta facendo, ne abbiamo viste di tutti i colori.  Anche perché tenete conto che già generalmente qui a Udine trovi di tutto, solo in misura minore. A Milano, Roma, nelle grandi città trovi quartieri interi, e anche qui li trovi, solo in miniatura. C’è tanta gente sola, tanti che usano quella mezz’ora di tragitto per sfogarsi, tanti altri hanno bisogno solo di qualcuno con cui parlare. La pandemia ha rovinato i rapporti; non che prima questo tipo di clienti non ci fosse, ma nell’ultimo anno e mezzo si nota la differenza.

MI: Io in due anni ho notato che è anche (e soprattutto) il modo in cui ti poni tu al cliente che cambia parecchio. È una questione di carattere, chi è più rude tende ad avere più battibecchi, più problemi. Chi invece riesce a mediare e a mantenere un po’ di sangue freddo avrà meno difficoltà nel gestire il cliente problematico. 

MA: Poi di episodi finiti male ce ne sono stati negli anni chiaramente, ma ripeto. Niente che non accada già altrove, in altre città più o meno grandi di Udine.

Ora farei una domanda di natura prettamente economica: com’è cambiato il fatturato a seguito della situazione pandemica?

MA: Abbiamo avuto un calo di corse di oltre l’80% a seguito del primo lockdown. A marzo 2020 sapevamo che si iniziava a lavorare la mattina, ma non sapevi se facevi corse. C’erano giornate in cui facevi dieci ore con le gambe sul sedile, con una corsa la mattina e una la sera. Significava 17 euro in un giorno lavorativo, sono 1,70 euro all’ora. Chiaramente questo è un caso estremo. Non è più ricapitato e (spero) non ricapiterà mai più. Ma vi posso assicurare che è reale come cosa.  Con le prime riaperture di maggio 2020 c’è stata una ripresa, e adesso c’è una costanza, un equilibrio. Ma ci manca comunque un buon 35/40% di lavoro.

Quel minimo di quotidianità (l’anziano che deve andare a fare la visita, la signora che va dall’estetista, ecc…) è tornata. È parte dell’introito ma non è la parte più corposa del fatturato. Lo smart working ha azzerato gli spostamenti di tutti coloro che prima usavano il servizio taxi quotidianamente, e si trattava di tutti coloro che costituivano quasi la metà del nostro indotto. Poi per carità, siamo liberi professionisti, quindi non possiamo dire di esserci sentiti abbandonati avendo ricevuto quei sussidi occasionali che arrivavano dallo Stato. Non ci facevamo lo stipendio, ma era sempre meglio di niente.

E tornando al Borgo Stazione, avete avuto modo nelle varie pause di instaurare rapporti con le varie attività commerciali del quartiere?

MI: Io essendo qua da due anni non saprei rispondere… oltre al proprietario del bar non ho parlato molto con gli altri commercianti. Anche perché spesso non hai neanche il tempo di fare conversazione. Si ferma tutto al “buongiorno”, al “grazie” e al “arrivederci”…

MA: A me, da tassista, il Borgo Stazione non piace per niente. Trovare una corsa con facilità è un terno al lotto. Come vi ho già detto abbiamo altre stazioni sparse per Udine, tra piazzale Osoppo, Piazzale XXVI Luglio ecc… E di conseguenza preferisco prendere le corse più piccole ma più frequenti in altri posti, piuttosto che la corsa grossa ma decisamente troppo complicata in stazione. Quindi anche io mi trovo un po’ impreparato nel rispondere…

Conosco però altri tassisti (ben più vecchi di me) che sono legati al Borgo e che prendono la stragrande maggioranza delle corse da lì. Verso gli anni Ottanta e Novanta c’erano molti militari, che davano parecchio da vivere ai tassisti al tempo, e tanti miei colleghi sono rimasti con quella mentalità; forse loro sarebbero più ferrati su questa risposta.

Capisco. La natura della domanda era relativa al fatto che, intervistando varie persone qui nel Borgo, ci siamo accorti che tra le etnie stesse manca integrazione e comunicazione. 

MA: Penso che sia normale, purtroppo… Gli ostacoli della lingua e della cultura sono i primi. È molto facile che, ad esempio, un sudamericano che si ritrova a Udine senza conoscere lingua o persone, vada nel bar/negozio gestito da altri sudamericani. E questo vale per l’indiano, per il cinese, per il pakistano e via dicendo. E questo crea ovviamente isolamento tra le varie etnie. Non so se considerarlo un problema sinceramente. Come detto prima, il Borgo Stazione è una piccolissima metropoli. È biologico che ci sia diversità. Penso che l’importante sia il rispetto, per sé stessi e per gli altri. 

MI: È normale che le persone della stessa provenienza si ritrovino in stazione con i propri conterranei. E credo che se c’è veramente un problema quello sta a monte.  Se le etnie non si integrano tra loro e men che meno con noi bisognerebbe capire il perché, che cosa li ha portati (o costretti) a venire qua e a fare determinate cose…

Esatto. Questa separazione è utile nel momento in cui riconosci la diversità come un mutuo arricchimento culturale. Diventa un problema quando la differenza si trasforma in muro, complicando il tentativo di risoluzione delle varie questioni. 

Massimo e Michele ci hanno portati in un mondo nascosto; quella dei tassisti è una realtà dietro la quale si celano mille e più storie che viaggiano lungo tutta la città sulle quattro ruote dei veicoli che i conducenti guidano ogni giorno. 

Seppur questa attività non si concentri solo sul quartiere protagonista del progetto, i tassisti rimangono diretti testimoni di un continuo via vai che rispecchia la natura movimentata del Borgo Stazione di Udine, e anch’essi ci hanno aiutato nella ricostruzione dell’identità stratificata e diversificata del rione…

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