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Lungo la via principale del Borgo udinese si trova una realtà commerciale in attività da circa cinquant’anni; l’Ottica Da Rio è stata testimone di varie modifiche sociali e culturali che hanno caratterizzato il quartiere. Dalla fine degli anni Ottanta, con l’avvento della globalizzazione, il Borgo Stazione è radicalmente cambiato, donando alla città un’atmosfera meno provinciale e (nel suo piccolo) più vibrante, metropolitana. 

Luca e Roberta, proprietari dell’ottica, hanno messo a disposizione un po’ del loro tempo per raccontarci la loro relazione com il quartiere. 

Una voce come quella di un’attività che è stata diretta coprotagonista di questi cambiamenti non può essere ignorata all’interno del disegno neorealista del rione udinese.

Stiamo raccogliendo varie voci e opinioni riguardo i cambiamenti che la pandemia ha causato all’interno del quartiere; voi se non sbaglio siete in attività da parecchio tempo però… dico bene?

R: Sì, il negozio è qui dal 1964. Abbiamo visto tutto l’avvicendarsi delle varie epoche che hanno caratterizzato Via Roma. I primi anni che lavoravo qui mi ricordo che si trattava del classico quartiere residenziale, ad eccezione dei giorni in cui veniva preso d’assalto per i giovani militari che andavano e venivano dalle caserme. Era un luogo molto bello. Poi vi parlo della metà degli anni Ottanta più o meno, io sono nata nel ‘68 e ho iniziato a frequentare questo posto da quando avevo più o meno vent’anni.

Poi intorno agli anni Novanta qualcosa è cambiato, e direi che nei primi Duemila questo cambiamento si è sentito ancora di più. 

Che atmosfera c’è attualmente qui, a seguito della pandemia? 

L: Diciamo che ognuno cerca di fare il suo. Non c’è molto scambio, ad eccezione di qualche attività storica come la nostra.

R: Esatto, come l’autoscuola ad esempio.

L: Poi noi, dalle prime riaperture dell’estate scorsa, non abbiamo notato troppe differenze all’interno del nostro negozio. C’è chi è più schivo, chi meno, ma siamo sempre riusciti a lavorare per fortuna. Per quanto riguarda il quartiere in sé non saprei cosa dire onestamente… Non abbiamo molti contatti se non con l’autoscuola appunto, oppure c’è un bar in fondo alla via gestito da cinesi (penso di seconda o addirittura terza generazione) e loro sono gentilissimi, è tanto tempo che ci conosciamo.

Roberta tu hai detto che hai iniziato a frequentare questo quartiere intorno alla prima metà degli anni Ottanta; che attività c’erano qui al tempo? 

R: Di vari tipi, e non essendoci così tanti flussi migratori si trattava quasi sempre di negozi italiani. C’era un corniciaio, una drogheria, un negozio di ceramiche, una macelleria, un panificio… Si trattava di un vero e proprio Borgo. Una delle peculiarità di questo posto è che al tempo c’era uno dei pochissimi negozi multietnici, di origine orientale per essere precisi. Era comunque gestito da italiani, si trattava di due friulani appassionati di cultura asiatica. Non si trattava del luogo esotico per eccellenza chiaramente, ma era comunque una realtà interessante all’epoca per una città come Udine. 

Ci raccontavano altre voci del luogo che questo quartiere era una zona residenziale di un certo livello. Il borgo si è poi interfacciato con il multiculturalismo, e qualcosa è chiaramente cambiato. Ma come? Hanno chiuso determinate attività e ne sono state aperte altre da parte di altra provenienza? Cos’è successo? 

R: Non ricordo esattamente se la chiusura delle attività italiane e l’apertura di altri negozi multietnici coincidesse con la pensione dei proprietari friulani… Però è strano, ora che ci penso non riesco a inquadrare in quanto tempo la situazione sia effettivamente cambiata. Dovrei fare un salto temporale radicale, vedere com’era impostato il quartiere negli anni Novanta e tornare immediatamente ad adesso, trent’anni dopo.  Quindi direi che il cambiamento non è stato istantaneo, ma graduale. 

Come già accennato, stiamo raccogliendo varie voci in merito. C’è chi vorrebbe che il quartiere tornasse alla “tranquillità” di quarant’anni fa e chi invece afferma che sì, la situazione va controllata, ma soprattutto accettata. C’è chi richiede maggior integrazione.

Voi avete avuto relazioni con altre attività, in questi termini? Che cosa dicono gli altri negozi ed esercenti? C’è questa necessità?

R: Se devo essere sincera no, non c’è molto scambio tra noi e il resto delle altre attività (ad eccezione dell’autoscuola e del bar del quale parlava prima Luca). Non c’è molta integrazione in generale, né da parte nostra né da parte loro. Sembra scontata come cosa, ma un dialogo non può avere solo un interlocutore.  E a pensarci bene non c’è neanche un elemento d’unione tra noi e le altre realtà multietniche: non c’è qualcuno o qualcosa che tenti di creare un ponte.  Ad esempio, per quanto i cinesi siano particolarmente distanti dalla nostra cultura (come noi dalla loro) e particolare riservati, sono molto rispettosi. Trovo altre persone di altra provenienza (italiani mai esclusi) più menefreghisti. Sono piccolezze, ma si parte anche da quello per unificare le differenze, credo.

La pandemia in tutto questo non credo abbia aiutato…

L: Poi bisogna vedere anche da che ambienti provengono le persone che arrivano qui e in che altri ambienti vengono inseriti. Non è scontata come cosa. E di nuovo, gli italiani non vengono esclusi. Perché se c’è spaccio di qualcosa vuol dire che c’è clientela, e da quanto vediamo ci sono parecchi acquirenti nostrani. 

R: Esatto, ogni tanto poi c’era trambusto. Lo spaccio stesso sembra causa di varie risse tra le diverse etnie. Ed è ancora più triste quando queste cose (non le baruffe, ma lo spaccio in sé) capitano con i ragazzini e gli studenti del liceo. È avvilente. A quell’età è difficile essere consapevoli al 100% di ciò che si fa o di come lo si fa. 

Penso che il nodo centrale qui sia la mancanza che tu hai messo in luce. Quella di un soggetto (privato o meno che sia) capace di creare un dialogo tra tutti voi, così da risolvere, almeno in parte, alcuni dei problemi principali del quartiere. E questi problemi non li risolvi solo con le autorità. 

R: Esatto. Fare piazza pulita per il breve periodo non risolve le cose. In effetti spesso si è parlato di fare qualcosa di particolare, di valorizzare le attività multietniche (soprattutto quelle nel campo della ristorazione, dato che tutti ultimamente si interessano di cucina esotica). Il problema è che aprono negozi “di copertura”, che vendono articoli banali e che puoi trovare ovunque, altrove, ma che chiaramente vendono ben altro… Manca la valorizzazione di quelle attività che potrebbero attirare tutti i tipi di clientela, e anche così si vedrebbe a creare quel famoso dialogo del quale parlavamo…

L’Ottica Da Rio ci ha permesso di aggiungere un altro frammento al puzzle che va a comporre il Borgo Stazione. Ci è stata data un’infarinatura generale delle problematiche che caratterizzano Via Roma, cuore pulsante del quartiere, e di come queste questioni potrebbero essere arginate o risolte. Emerge, come da altre testimonianze, la necessità di un dialogo. La rete che si verrebbe a creare non solo tra le attività italiane e quelle straniere, ma anche tra le varie realtà multietniche, dovrebbe essere promossa da un soggetto che riesca a valorizzare l’integrazione tramite iniziative di carattere culturale; come messo in luce durante l’intervista, i problemi non si risolvono con l’autorità.

 

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