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Sono passati quattro mesi dall’inaugurazione della 58. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, initolata quest’anno May You Live In Interesting Times. E se ci si ferma anche solo un momento a pensare a quanto è successo in soli quattro mesi – in Italia, in Europa, nel mondo – ci si rende subito conto che la Biennale Arte di quest’anno vive giorno per giorno, cambia di giorno in giorno. Come tutta l’arte, in un mondo in cui l’unica costante è il cambiamento.
Climatico, politico, sociale. Ma cambiamento.

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Ed è con questa chiave che voglio aprire le porte dei due padiglioni pensati da Ralph Rugoff, curatore della Biennale 2019: Arsenale, Lato A, Giardini Lato B. E come un vinile i due lati si completano, mettono in attesa, richiedono ascolto e contemplazione; due opere per ogni artista di intensità, temi e espressioni diverse. Una visione critica, in un mondo in cui la stessa cultura critica viene bandita. Due visioni complementari, in un momento in cui un’opinione sola è legge. Due scelte, in un’epoca in cui o si vive in una pornografia di stimoli o nel rigetto totale di qualsiasi sforzo mentale.

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E la cosa più bella, è che ogni singola opera scelta da Ralph Rugoff riflette ed è riflessa nel nostro più stretto contemporaneo. Sono occasioni che il curatore dà: per pensare, riflettere, guardare il mondo da un’altra prospettiva. La bravura di Rugoff sta nel suo essere regista e non opinionista; è una biennale politica, ma non per le esplicite dichiarazioni curatoriali bensì per le possibilità di riflessione che concede. E non solo nei padiglioni curati da Rugoff stesso; basti pensare al padiglione Argentina, città fantasma dei Giardini 2019, o al flop del Padiglione Italia. Il G8 della Biennale cede il passo a quei padiglioni in cui il pensiero si sente più vivo, attivo, combattivo ma anche coraggioso.
Ma nonostante lo spirito comune di denuncia e resistenza, viene permessa una fruizione dai ritmi lenti, quasi a contrasto con la realtà al di fuori del confini della Biennale.

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Contemplazione e meditazione, spinti da opere che staccano nuovamente con il grande pubblico e avvicinano gli uomini di buona volontà. Non arte per l’arte, ma arte per il mondo.
Perché sicuramente sì, We do live in interesting times.

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