Tempo di lettura: 3 minuti

“May you live in interesting times” può essere letto come maledizione, evoca l’idea di tempi sfidanti e persino minacciosi.
Così il Presidente Paolo Baratta introduce la Biennale di Venezia di quest’anno, ed è in questo panorama che si inserisce perfettamente il Padiglione austriaco.

Per la prima volta, nella storia dei contributi artistici dell’Austria alla Biennale, con Renate Bertlmann è un’artista ad intervenire nel padiglione con una mostra personale; “[…] come società vogliamo in questo modo dare un segno che rispetti il mondo dell’arte e rifletta su asimmetrie strutturali” queste le parole della curatrice Felicitas Thun-Hohenstein a sostegno della scelta fatta.

 

Ph. Sophie Thun

Ph. Sophie Thun

 

I lavori dell’artista austriaca, con elementi scultorei, performativi, fotografici, filmici e testuali si trovano in bilico tra passato e presente, tra sottrazione e desiderio, quotidianità e inconsueto, tra arte e vita offrendo allo spettatore/visitatore esattamente quello che la Biennale 2019 si era preposta di fare: farlo incontrare con le opere (e gli artisti) scoprendo “l’altro sé” che l’arte ci propone.
Ci sentiamo dapprima spaesati di fronte a questi binomi, a queste contraddizioni che lentamente ci portano ad una più profonda riflessione sui cambiamenti “minacciosi”, volendo riprendere le parole del Presidente Baratta.

Per l’esposizione del Padiglione Renate Bertlmann ha pensato ad una mostra/installazione dedicata al concetto del “Discordo Ergo Sum” – letteralmente Discordo, dunque sono – riformulando il principio cartesiano del Cogito Ergo Sum. Così facendo l’artista cerca di spodestare il predominio della ragione facendo prevalere la rivolta, la messa in gioco, la non accettazione dei preconcetti attuali.
Da anni la Bertlmann è considerata una straordinaria artista, apprezzata molto anche per il suo impegno femminista e come pioniera e promotrice dell’arte performativa. Si muove agilmente e con forza tra i simboli sociali, forzandoli e aprendo dibattiti attuali: sulle relazioni tra i sessi, sui ruoli di genere e sulle strutture di potere; li affronta con ironia e vi si ribella con sottile sarcasmo.
Tutta quest’ideologia viene riportata perfettamente nella personale ai Giardini della Biennale, la mostra ci appare praticamente divisa in due parti: interno ed esterno. L’artista che ama – come proclama l’installazione esterna con cui Renate “firma” il Padiglione – e l’artista che discorda.
Nello spazio espositivo interno la presentazione di panelli didattici, schizzi, fotografie e pellicole è disposta su pareti bianche che creano una scatola aperta, scomposta che fa apparire il Padiglione una sorta di rovina contemporanea.

 

Ph. Giulia Polloni

Ph. Giulia Polloni

 

Ph. Giulia Polloni

Ph. Giulia Polloni

 

Nel giardino interno troviamo invece quella che forse è l’installazione più rappresentativa dei lavori dell’artista: si tratta di una distesa di 312 rose rosse in vetro soffiato, infilzate su lame d’acciaio. Una rappresentazione molto potente della dualità dell’esistenza umana, dell’ambivalenza dei sistemi sociali e culturali che così fortemente ci influenzano nella nostra quotidianità.
Mi sento quindi di concludere con un’impressione del tutto positiva lasciata da questo Padiglione e dalla sua artista, un’immagine di continua riflessione sul dualismo dell’essere umano e delle sue scelte nella vita in questi “Interesting Times”; nonostante non abbia riscosso tra la critica il successo che si sarebbe meritato.

 

 

 
 
 
 
 
Visualizza questo post su Instagram
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

#austrianpavilion2019 #biennalevenezia #biennalearte2019 #venice #art #contemporaryart #Renate Bertlmann

Un post condiviso da Giulia Polloni (@giugyp) in data:

Articolo di Giulia Polloni