Girato l’angolo tra Via Caccia e Via Gorizia, salta subito all’occhio un numeroso gruppo di persone, inconsueto per un angolo della città conosciuto, ma molto tranquillo. Architetti, appassionati, curiosi e residenti si sono riuniti grazie all’evento dell’Associazione Italia Nostra, sezione di Udine, alla scoperta delle architetture cittadine.
Quella di ieri, domenica 3 settembre, è iniziata con l’esplorazione del Quartiere Giardino di Via Gorizia, progettato dall’ing. Vittorio Fattori nel 1922 come sua prima opera (http://dati.san.beniculturali.it/). Questa zona segna l’inizio del neonato Istituto Autonomo Case Popolari di Udine, fondato per regolamentare e promuovere in modo organico l’edilizia popolare, che fino ad allora era stata oggetto di sporadiche iniziative prevalentemente umanitarie.
La zona scelta faceva parte di una vasta estensione di spazi incolti, compresa tra le strade che portavano ai borghi di Chiavris e Planis, in un’area considerata destinata alla nascita dei primi quartieri residenziali, sia borghesi che operai. Oltre agli interessanti interventi di Gabriele Cragnolini (presidente della sezione Udine di Italia Nostra), Paolo Bon (presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Udine) e Diana Barillari, alcuni residenti hanno aperto letteralmente i cancelli e le porte delle loro abitazioni, rendendo la visita ancora più unica.
Il quartiere-giardino di Via Gorizia si distingue per la sua peculiarità, poiché si ispira a modelli ambiziosi che vanno oltre la semplice disposizione di edifici lungo la strada o la ripetizione di blocchi in uno spazio aperto. Invece, si impegna a creare un piccolo isolato armonioso ed equilibrato nel suo complesso, con edifici di varie caratteristiche e dimensioni. Ancora oggi, questo quartiere evoca la sensazione di trovarsi in un piccolo borgo rurale, grazie alle due strade curve che si intersecano nella zona centrale, dando vita alla “piazzetta”.
Le “casette popolari” progettate da Vittorio Fattori comprendevano edifici di dimensioni e strutture diverse, come case bifamiliari su due livelli con ingresso indipendente, palazzine con ingresso e scalinata comune e appartamenti su un unico livello con un diverso numero di stanze. Il modello di riferimento era il villino borghese, semplificato ma funzionale per soddisfare le nuove esigenze di vita.
Le decorazioni esterne non erano pensate solo per abbellire l’architettura, ma anche per enfatizzare la struttura architettonica stessa, integrandosi perfettamente con le aperture (porte e finestre sembravano parte integrante dell’ornamento), i balconi, i porticati e le proiezioni architettoniche. Tra i materiali utilizzati, la pietra artificiale è predominante, impiegata soprattutto per architravi di porte e finestre, mensole dei balconi e proiezioni architettoniche, con un’impresa D’Aronco specializzata nella sua produzione. Oltre all’intonaco, decorato con rilievi geometrici o scanalato in pannelli, è impiegata anche la tecnica del graffito. Il ferro battuto ha un ruolo molto importante utilizzato nelle inferriate, nelle balaustre dei balconi, nella protezione di porte e finestre integrate nei serramenti al piano terra, così come nelle ringhiere delle scale interne. Secondo il progetto di Fattori, ogni palazzina, articolata su due piani, era circondata da un terreno destinato a giardino o orto, garantendo sia alle villette che agli appartamenti un proprio spazio verde.
Lasciando Fattori in Via Gorizia dopo aver curiosato liberamente tra le abitazioni e scoperto la vecchia lavanderia comune, si prosegue in Via Codroipo con le case INCIS del 1929/30, su progetto di due ingegneri Francesco Allegra e Giuseppe Ballico. L’INCIS era l’istituto nazionale per le case degli impiegati statali, un ente pubblico italiano istituito per costruire abitazioni e gestirne l’assegnazione a canone agevolato agli impiegati pubblici. Un palazzo che, dai volumi e dall’atmosfera, sembra farci entrare in una Roma di altri tempi di cui è difficile reperire informazioni, ma che senza dubbio ha molte storie da raccontare.
L’ultima tappa del giro è in Via Ermes di Colloredo, a pochi passi dalla stamperia Albicocco, con le Case Popolari dell’arch. Cesare Miani del 1921/22. All’entrata, sul portone d’ingresso, notiamo subito l’acronimo CP (Case Popolari), e anche con uno sguardo distratto, possiamo notare un’estetica unica che non ci si aspetterebbe, a partire dai graffiti con tre simboli (uno per ogni scala): l’aquila di Aquileia, il simbolo della città di Udine e infine il Leone di San Marco.
Queste tre figure sembrano ricordarci tra i verdi giardini la storia della nostra città nel caso ci fossimo persi con lo sguardo tra tutte le decorazioni e non sapessimo dove trovarci.
Una passeggiata di racconti, storie e chiacchiere tra commenti architettonici e no, tra curiosità a volte non sempre ripagate.
Un’esperienza che Constraint consiglia a tutti per conoscere gli edifici e i quartieri testimoni silenziosi della storia di generazioni udinesi e non solo…