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La Reincarnazione dell’Arte
Inaugurazione della 57esima Edizione della Biennale d’Arte di Venezia

Il 10 maggio alle ore 10 inaugurava la 57esima edizione della Biennale d’arte di Venezia, Viva Arte Viva. Ma alle 9.30 la fila per entrare era già importante e carica di aspettative.
L’aspettativa è parte integrante della vita della Biennale, come anche la critica. Sono i motori di fruitori e curatori e sono palpabili nell’arte di Giardini e Arsenale; sono quasi una presenza fisica.
Quest’edizione è stata introdotta da Paolo Baratta e Christine Macel alla conferenza stampa con estrema semplicità e molta cautela.
Una dovuta cautela, data dalla sensazione dell’impersonificare un bersaglio da qui a novembre. Una sorte condivisa da tutti i curatori chiamati al fronte Biennale. E in effetti le critiche non hanno tardato ad arrivare; la maggior parte rivolte ai pilastri del pensiero curatoriale seguito. È una Biennale che si è presentata come calata nell’attualità e con la necessità di una consapevolezza dell’arte (e non solo) sempre maggiore. Il che poteva far presupporre un certo tipo di presa politica delle scelte, con inclusioni ed esclusioni forti, un tema guerreggiante e di denuncia.
E invece questa Biennale non è nulla di tutto ciò.
È presa di coscienza e consapevolezza? Sì.
È denuncia politica e sociale? Non solo. E per fortuna.
È un’affermazione di consapevolezza dello stato dell’arte, consapevolezza della necessità di fare un passo indietro. La coscienza del calo dello spessore artistico e di una crescente tendenza alla promozione delle grandi star a scapito di un pensiero più incontaminato.

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Principalmente per motivi economici, ma non solo. Vi è un problema intrinseco alla condizione dell’arte contemporanea: un comfort di nicchia. L’arte contemporanea è quell’arte tanto calata nel sociale – per media d’utilizzo e tematiche – quanto lontana dalla società – per affinità. Il pubblico si divide in tre, si spezza: chi l’ama, sinceramente; chi non se ne interessa e/o la rifiuta; e chi l’ama, superficialmente. Chi ne ama solo l’aura e lo status che ne deriva e di cui può godere per una semplice proprietà transitiva.

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Questa Biennale è cosciente della necessità di far riamare l’arte, ma sinceramente. Essenzialmente per due motivi, gli stessi enunciati già nei comunicati stampa: per l’attuale situazione globale, dominata dal perenne clima di tensioni e per il ruolo che l’arte ha all’interno di questo complicato sistema, che è la società.
E lo fa in modo indiretto, ma intellettualmente onesto, rivolgendosi a “every kind of public” come subito specificato dalla curatrice. Il problema principale è il sacrifico di quella fetta di pubblico di “addetti ai lavori”, che non trovano l’energia propulsiva tipica delle Biennali. Un sacrificio che sta costando critiche (in parte condivisibili) diffuse.
Gli obiettivi poi raccontati da Christin Macel parlano di contrapposizione alla banalità, al populismo e alla regressione. L’arte di denuncia e cinismo puro ormai non basta più. Non serve, perché nessuno la ascolta. Bisogna rieducare alla cultura e all’arte per innescare un cambiamento valido, perché senza cultura si cade nella banalità, nel populismo, si regredisce appunto.
Christine Macel aggiunge inoltre un altro elemento per avvicinare il fruitore: l’estetica delle opere. Non l’arte d’avorio, arte che parta di arte nel linguaggio dell’arte, ma arte che parla alle persone attraverso emozioni, a volte semplici, ma efficaci.

Rock Shadow  di Tracey Moffatt (Padiglione Australia, fonte: Australia Council )

È una Biennale stratificata. Il coinvolgimento è altissimo; le opere completate da pubblico sono numerosi e veramente attive. Il fruitore è veramente parte costante dell’opera, parte costante delle scelte curatoriali, parte costante dell’arte. Come dovrebbe essere.
Perché l’arte parla della vita; è vita. Viva Arte Viva.

 

13 maggio-26 novembre 2017
martedì – domenica h 10-18
Venezia